Sono qui ad osservare fuori dalla finestra la pioggia che scorre, mi piace osservare la pioggia, mi da la sensazione che riesca a lavare tutto lo sporco che ogni volta mi sento addosso. L'acqua purifica, pulisce, dà vita e dà morte. La mia vita comincia con la pioggia e finisce quando il cielo smette di piangere. Potrei stare ore ad osservare l'acqua che cola dal cielo fino a terra, lì ferma alla finestra dietro le sbarre della prigione ove sono rinchiusa, una prigione buia, ostile, soffocante, una prigione costruita a regola d'arte; le pietre sono grosse, spesse, fredde, ci sono giorni che l'aria è irresperabile e mi sento soffocare, non voglio pensare, mi fa male pensare. E' allora che prendo la sedia e mi metto alla finestra ed osservo fuori, osservo il cielo, quel cielo che oggi è grigio, cupo, che rende l'aria ancora più irrespirabile.
Con le mani afferro le sbarre che mi trasmettono il loro freddo gelido, appoggio il viso tra di loro, respiro profondamente, cercando di prendere più aria possibile, ma non riesco a respirare, ansimo sempre più velocemente in cerca di aria, ma non la trovo, non so cosa fare. Le lacrime scendono sulle guancie, copiose, non riesco a farle smettere, non so cosa mi prenda, non riesco a smettere di piangere e di ansimare, non riesco ad emettere un suono, nemmeno un piccolo urlo per poter chiedere aiuto, qualcuno mi sentirebbe, ma non esce nulla, eppure è lì lì, sulla punta della lingua, è un pensiero che sta per uscire, ma poi muore prima ancora di evolversi in suono.
Mi stacco violentemente come arrabbiata, mi volto e mi accascio a terra, siedo spalle al muro, proprio sotto la finestra, porto le ginocchia al petto, le abbraccio, poggio il mento su di esse, continuo a piangere, osservo la stanza vuota, buia, le lacrime silenziose si trasformano in un pianto dirotto e cosciente, alcuni piccoli singulti fuoriescono dalla bocca, porto la fronte a toccare le ginocchia, nascondo il viso, sono di fronte alla porta della cella, non voglio che nessuno mi veda piangere. Nessuno deve sapere, se succedesse sarebbe la fine. Sono ore che sono qui, eppure il pianto non cessa, mi alzo e mi avvio verso un angolo buio, preferisco, così sono un po' più sicura che non vedano cosa mi sta succedendo.
Le lacrime cessano, non ne ho più da versare, ma la sensazione di non poter respirare rimane comunque, mi alzo e vado in bagno, apro l'acqua e mi sciacquo il viso per eliminare le righe delle lacrime, il rosso degli occhi, mi guardo allo specchio, non sono al massimo ma non si vede più di tanto che ho pianto. Apro l'acqua del cesso, per nascondere le prove ulteriormente, torno nella cella, sospiro e mi rimetto ad osservare fuori dalla finestra ancora per ore, la pioggia ha smesso di scendere, ora è tutto bagnato, fuori dalla mia finestra si vede un piccolo corridoio di cemento poi il muro della prigione, alto, ma non abbastanza da non lasciarmi vedere nulla, vedo una strada di fronte a me, ed un palazzo piccolo, grigio, un albero piantato nel cemento, non so come faccia a vivere lì in mezzo, mi sembra tanto solo e triste.
Quando mi hanno rinchiuso in questa prigione, ho sentito qualcuno che mormorava al processo, mentre mi portavano via che qui ci sono dei fiori, fiori bellissimi, fiori stupendi, mai visti da nessun altra parte. Ma io non li ho ancora visti. Sento dei passi, si avvicinano, mi stacco dalla finestra, non vorrei che sappiano del mio piccolo segreto, mi appoggio con le spalle al muro, metto le mani dietro la schiena, abbasso la testa ed aspetto. Sento la chiave nella toppa, gira più volte, poi sento aprire la porta pesante, fa un rumore metallico, freddo, striscia sul pavimento di pietra, il secondino mi guarda, i suoi occhi sono di ghiaccio, mi osservano ma non lasciano trapelare nessun sentimento, la sua voce è altrettanto ghiacciata quando mi dice: "E' ora! Andiamo!".
Mi stacco dal muro, continuo a tenere la testa bassa, avanzo lentamente sconsolata, il secondino aspetta senza muovere nessun muscolo, nessuna emozione, nessun'altra parola, gli passo di fianco senza osservarlo, non sento nulla, nessun profumo, mi fermo come al solito in mezzo al corridoio, mantengo lo sguardo abbassato attendendo che la porta si richiuda pesantemente, sussulto lievemente quando sento girare di nuovo la chiave nella toppa. Sono qui da qualche giorno, una settimana circa, il secondino mi precede con il passo regolare, pesante, vedo il pavimento di marmo sotto i miei piedi così lucido, freddo, il corridoio è largo 6 metri, sono l'unica a camminare lì, oltre al secondino, è come se stessi nuotando nell'oceano e fossi completamente sola, non oso alzare lo sguardo, cammino dietro seguendo le gambe della guardia.
Alla fine del corridoio, mi trovo in un'altra stanza è grandissima, una ventina di metri quadrati, alzo timidamente gli occhi, ci sono altre persone, la guardia si volta e si allontana senza dire niente, so che tornerà fra un'ora come ogni giorno. Sento la porta della stanza chiudersi, mi sento persa. Ci sono altre nove persone, non sembrano interessate a me, anzi non sembrano proprio essersi accorte che ci sia anche io. Sulla parete di fronte c'è un orologio, molto grosso, segna le 11.30, non ci sono finestre solo dei condotti di aerazione sul soffitto, grossi tubi quadrati s'aggrovigliano l'uno sull'altro, finendo con ventole rotonde con filtri anallergici. Ci sono una decina di tavoli tutti di un leggero verde, disposti casualmente per la stanza, sulla parete dietro di me vi è una libreria a sei piani e larga 10 metri, ci sono molti libri, ma oggi non ho voglia di leggere, vado incontro alle altre persone, sono tutte con lo sguardo a terra, non conosco ancora i nomi di tutti, mi avvicino a Linda, sta scrivendo su un quaderno, sento un moto di paura, mi viene da vomitare, ma non ho nulla nello stomaco, sospiro lievemente, cerco di resistere alla nausea e le dico:
- Ciao, Linda. Come stai?
- Ciao - il tono è sicuro, finisce una frase sul quaderno, smette di scrivere, lo chiude e lo sposta di lato, alza lo sguardo e mi sorride - oggi non proprio bene, tu invece?
- Nemmeno io a dire la verità un po' peggio di ieri - cerco di sorriderle, la sensazione di vomito che mi affliggeva sparisce per poco, la paura no, quella resta, Linda apre la bocca per parlare mentre io le sto già chiedendo - come mai non ti senti bene?
Linda ridacchia portandosi una mano alla bocca - mi hai preceduto, volevo farti la stessa domanda - non risponde, rimane ad osservarmi sorridendo come se stesse aspettando qualcosa. Qualche istante dopo penso che forse sta aspettando una mia risposta, prendo una sedia, mi siedo di fianco a lei.
- Parliamo prima di te, poi risponderò io alla tua domanda - cerco un compromesso per non offenderla. Mi guarda, sorride di nuovo e poi comincia il suo racconto.
- Sai non ho passato una buona notte purtroppo, ho fatto dei brutti sogni, ho sognato che mi venivano a prendere dalla cella, mi portavano fuori di peso, così - alzando le mani in alto, chiude i pugni in modo rabbioso, poi strattona l'aria come se realmente fosse lì qualcuno che la prendesse, la paura riprende più violenta dentro me, mi viene di nuovo da vomitare, cerco di trattenermi, Linda riprende il suo racconto - poi non ricordo bene, è diventato tutto nero, ho sentito un forte rumore della porta della cella di fianco, come se qualcuno la chiudesse, hai visto Romina per caso? oggi non si è vista...oggi non c'è più, dov'è?
- Non lo so, sono appena arrivata - guardo l'orologio segna le 12.00 - più o meno - il tono si abbassa vergognoso, mi guardo attorno per cercarla, effettivamente non è presente, il moto di paura si fa più forte, cerco di trattenermi sempre di più ma sento che sto per scoppiare. Mi alzo, le mie mani tremano come quelle di Linda, vedo una guardia che entra è il secondino di Linda, la chiama per nome e le dice la solita frase "E' ora, andiamo", lei si alza e mi guarda impaurita, non so cosa fare per aiutarla, non so cosa dirle, mi esce solo - Vedrai che non succederà nulla, sono sicura che non succederà nulla, è solo un sogno ricorda solo un sogno, ci vediamo domani.
Linda si allontana, ma la mia ansia, la paura rimane, permane nella mia anima come se ne fosse incastonata all'interno, un senso di impotenza mi prende non riesco a spiegarne il perchè, non so come uscirne mi risiedo e abbasso la testa verso il tavolo, non guardo più nulla, cerco di respirare il più lentamente possibile, cerco di isolarmi dagli altri, ma non sembra riuscirmi molto bene, aspetto in quella posizione, fino a che non sono sicura di potermi controllare.
Mi sembra un'eternità invece è passato solo qualche minuto, mi rialzo, respiro profondamente, poi gironzolo per la stanza, altri sentimenti si affacciano ora, delusione, odio, melanconia, oppressione, mi sento il petto pesante, il cuore troppo appesantito, mi devo appoggiare, mi appoggio spalle al muro, mi porto una mano tra i seni, comincio a massaggiare la parte, mi fa male come se mi fosse appena arrivata una stilettata. Ci impiego un po' per poter riprendere il controllo, osservo di nuovo l'orologio, le 12.30. Ma quando arriva, penso, non ce la faccio più. Mi volto di nuovo, ricomincio a camminare per la stanza, mi guardo intorno, ora però i sentimenti sembrano essere smorzati, come se una nube li soffocasse, non so il perchè, osservo gli altri, non lo avevo ancora fatto, avevo solo notato Linda, tutti gli altri sono passati in secondo piano, non so perchè; Tony è lì, messo in un angolino, seduto per terra, le mani nella testa riccioluta, è come fuori da ogni tempo, non vede, non sente nessuno, è lì e nessuno sembra essersi accorto di lui, mi raggiunge un senso di ineguatezza, poco più in là seduto su una sedia, legge un libro Robbie, viene da Londra, mi ricordo solo questo, ma non sembra essere una lettura attenta, sembra più preso dai propri pensieri, vedo Lara, gambe distese sul tavolo, sembra tranquilla non fosse per il piede che continua a dondolare velocemente. Gli altri non li conosco, la guardia pronuncia il mio nome, faccio un sussulto, guardo l'orologio, le 13.00.
Mi dirigo verso di lui, lo seguo come ogni volta, usciamo dalla porta vicino alla biblioteca, lì c'è un altro corridoio, uguale a quello che ho percorso precedentemente per giungere alla sala ricreazione, non ci sono celle però in quel corridoio, non ci sono porte, sul soffitto ci sono delle lampade al neon, ogni tanto si sente uno sfrigolio da una di esse, mantengo la testa bassa, arriviamo in fondo al corridoio, ora ci sono due direzioni una a destra dove ricominciano le celle, noi prendiamo a sinistra verso i laboratori e l'infermeria. Ci sono porte solo sulla sinistra, la prima è completamente in acciaio, non vi sono iscrizioni di alcun genere, non so cosa vi sia dentro, la seconda qualche metro più in là è una porta di legno con un vetro opaco non si vede dentro, sull'etichetta nera attaccata di fianco c'è scritto “Laboratorio analisi”, proseguiamo vi è una terza porta uguale alla precedente, quella è il l'infermeria, la quarta porta è lo studio del medico di guardia, mentre la quinta è il laboratorio medico, l'ultima la stesta è il laboratorio tecnico di rapporto, entriamo in quest'ultima. La stanza è illuminata, c'è una finestra di fronte a me, riesco solo a vedere il cielo grigio dell'autunno, sotto la finestra ci sono dei mobiletti chiusi a chiave, delle carte sopra di essi, sistemate metodicamente una di fianco all'altra, sulla destra della stanza, ci sono degli armadietti di vetro contengono delle provette, siringhe, cotone, disinfettante, qualche calmante, anch'essi sono chiusi a chiave, sulla sinistra invece c'è una poltrona-lettino, di fianco sulla sinistra un piccolo mobiletto, sopra di esso il terminale di un computer, non si vedono fili di collegamento, attaccato alla poltrona sulla destra vi è un braccio meccanico. La guardia si sposta sulla destra rimane ferma come in attesa di ordini, io invece non aspetto il mio e mi dirigo lentamente verso la poltrona, mi siedo e mi sistemo comodamente semi-sdraiata, alzo la manica sinistra fino a sopra la spalla, poi pongo le mani sul ventre, chiudo gli occhi ed attendo. Sento il braccio meccanico muoversi verso il mio braccio sinistro, sento il freddo dell'acciaio toccarmi la pelle, ho un brivido di gelo che mi sale dalla spina dorsale ma non mi muovo, nonostante gli occhi chiusi so perfettamente cosa sta succedendo, sento il palmo metallico aprirsi, un'estensione quadrata di poco più un centimetro ne fuoriesce e si dirige verso di me, lo sento toccarmi con una piccola pressione, ho un piccolo sussulto non so il perchè ma è una procedura che mi irrita parecchio, si è agganciato al microchip che mi hanno installato il primo giorno che sono entrata, il video che prima pareva spento si accende e comincia a visualizzare il mio nome, l'età, la data di entrata, il numero assegnatomi, poi comincia a scaricare tutto il suo report giornaliero seguendo una sua scaletta precisa, segna il giorno, il tempo assegnatomi alla sala ricreazioni, le emozioni segnalate per ora, prima della sala ricreazione durante e subito dopo fino ad ora, le crisi se ce ne sono state ed il tempo di ripresa, lo scarico dei dati si ferma come al solito allo scoccare del minuto precedente il momento che il mio braccio è stato sottoposto a revisione elettronica, come la chiamano in questo posto. L'estensione metallica si stacca dal microchip, rientra nel braccio meccanico, poi anche il braccio si stacca dalla mia carne, la pressione è stata leggera, non ho nemmeno un livido, rimetto la manica a posto lungo il braccio, mi alzo ed attendo in piedi vicino alla poltrona; la guardia mi ripete la solita frase “ andiamo!” io la seguo docile, riprendiamo il corridoio da dove siamo venuti, ma questa volta non ritorniamo verso la stanza della ricreazione, proseguiamo verso le celle dritti, il reparto D quello di Linda e Romina, superiamo le 10 celle del reparto, più avanti il corridoio svolta ad angolo retto verso destra, lì c'è il reparto E quello di Tony e Robbie, altre dieci celle, poi il reparto F, una svolta a 90° sulla sinistra del corridoio, il mio, conto sistematicamente tutte le celle, come se contare mi permettesse di arrivare prima, sono stanca, decisamente stanca, ho proprio voglia di riposare, la guardia si ferma davanti alla mia porta, la apre, io entro vado fino in fondo, fino al tavolo, mi siedo ed attendo che mi portino il pranzo, sento la porta richiudersi, ho un sussulto ogni volta, come se mi chiudessero l'anima in una scatola chiusa, senza possibilità di uscirne.
Il pranzo arriva come al solito alle 14.00, sento i cingoli della macchina che cammina passando lungo il corridoio, si ferma quasi subito, sento strisciare la feritoia che è in mezzo alla porta metallica, sento la macchina che gira con un ronzio, sento incastrare il vassoio nel buco, lo sento strisciare facendo un rumore stridulo, mi tappo le orecchie come tutte le volte, mi fa sentire gelida, senz'anima, sento di nuovo il ronzio, la macchina si gira di nuovo e riprende a camminare, un'altra cella, un altro pasto, ora tocca a me, si ripete tutto come ogni cella, come ogni pasto. Mi alzo dal tavolo, mi dirigo verso il vassoio, la macchina ha appena ritratto le braccia, la osservo mentre si gira, e riprende a camminare, è rotonda davanti, ci sono degli sportelli chiusi, è tutta in acciaio, da dietro sembra quasi una piccola imbarcazione, ha dei cingolati che le permettono di camminare lentamente, sul retro proprio sopra al piano di metallo vi è una protuberanza affusolata, si ferma proprio di fianco alla mia cella, è l'ultimo pasto della sezione, vedo la protuberanza aprirsi a metà, dal suo interno fuoriescono due piccole braccia metalliche a forma di mano, aprono gli sportelli ne prendono il vassoio, poi da ognuno degli altri contenitori prende il piatto già confezionato, lo mette sul vassoio, così per tutte le porzioni, poi si volta, incastra il vassoio nella feritoia e lo fa scivolare, ritira le braccia metalliche, le riporta nel mezzo e l'estremità affusolata si ripiegano su di loro, poi il pezzo di ferro si richiude, riprende di nuovo il cammino, lo vedo scomparire dietro l'angolo dopo poco.
Prendo il vassoio, lo estraggo dalla feritoia, la porticina rimane comunque aperta, è una bella sensazione mi fa sentire meglio, è come se entrasse aria pulita, aria sana, mi dirigo al tavolo, mi siedo di nuovo, poi comincio a mangiare, i piatti sono caldi, è come se li tenessero in caldo una volta cotti i cibi in un ambiente termico, mangio forzata non ho molta voglia, vorrei di più un gelato ora, adoro i gelati, chissà per quanto ancora non me li permetteranno; il cibo non è cattivo, si mangia di tutto, la dieta è equilibrata e sana, mi ricorda la dieta mediterranea che vedevo spesso decantata sulle riviste femminili, chissà forse mi farà guarire ed uscirò di qui. Finito il pasto, riporto il vassoio nella feritoia, lo aggancio e mi allontano, mi vado a sdraiare sul letto, piego le ginocchia e rimango ad osservare il soffitto, picchietto il polpastrello sulla coperta, sbadiglio, comincio ad avere sonno, non so, ogni vola dopo i pasti mi addormento, forse mangio troppo, mi giro su un fianco e il sonno ha il sopravvento su di me, non sento nemmeno la macchina che torna a ritirare il piatto alle 15.30. Il mio è un sonno profondo, tranquillo, senza sogni, ristoratore.
Mi sveglio, apro gli occhi, sono distesa sul fianco destro, il mio braccio è indolenzito dalla posizione presa durante il sonno, mi alzo stropicciandomi gli occhi, stiro i muscoli, butto indietro la testa scuotendola leggermente, poi lentamente la rialzo, osservo la parete di fronte, l'orologio di metallo rotondo come quello della sala ricreazione segna le 19.00. Fra un'ora si cena, mi alzo sbadigliando, raggiungo il bagno, apro l'acqua e mi lavo la faccia, mi asciugo nell'asciugamano completamente bianca senza nessuna iscrizione, la ripongo nel bracciolo, poi ritorno nella stanza, raggiungo di nuovo la finestra, siamo in autunno l'albero di fronte sta perdendo tutte le foglie, lo osservo, vedo due giovani, un ragazzo ed una ragazza, stanno passeggiando mano nella mano sul marciapiede, lei si volta verso di lui sorride, mentre cammina quasi trotterellando, poi scappa come se avesse detto qualcosa di sconveniente, ma continua a ridere, lui la rincorre, dopo poco non li vedo più. Sorrido, sembrano felici, è già il tramonto, ora le luci interne si stanno accendendo, il soffitto è tutto di plasticato, le luci sono disposte su tutto il soffitto ed è possibile regolarle con comando vocale.
Non vedo più nessuno, sta ricominciando a piovere, mi stacco annoiata, anche se mi sento bene, un po' nostalgica forse, vorrei essere anche io fuori a passeggiare, respirare l'aria, l'autunno mi piace, non è freddo freddo, è possibile passeggiare, mi rende così tranquilla questo periodo e mi rimetto a pensare chiudendo gli occhi a quando ero a casa ed uscivo con mia madre per fare la spesa, sospiro. Mi stacco dalla finestra, mi siedo sul tavolo dondolando le gambe, le mani appoggiate vicino alle gambe, osservo la porta aspettando il solito rumore, in questo momento vorrei un libro da leggere, ma non ci consentono di portarne in cella, non abbiamo nemmeno il televisore, c'è solo la radio, o così la chiamano qui, trasmette solo musica classica, niente canzoni, a volte è un po' noiosa, ma sempre meglio di nulla.
- Musica – dico sicura ed aggiungo– luce a 80.
Il computer esegue i miei comandi e si sente una lieve sinfonia da camera, non è udibile quindi specifico al computer di mettere l'audio a 30 decibel, ed esso esegue come sempre.
Ecco che dopo pochi minuti si sente la macchina della cena, le stesse porte, gli stessi movimenti del pranzo, aspetto tranquilla mentre la macchina avanza, appena vedo il vassoio, mi alzo tranquilla, lo prendo e lo porto al tavolo, mi siedo e vedo con mia sommo ribrezzo che mi han dato la pasta con le zucchine trifolate, mangio la pasta e salto le zucchine con enorme mio piacere, poi passo al pollo arrosto con le patate, molto più buono direi, il pane lo conservo per dopo, non si sa mai che mi venga fame di nuovo, la pera la mangio subito, poi non avrò a disposizione posate di alcun genere.
Mi alzo e ripongo il vassoio nella feritoia, torno al letto, mi siedo, sbadiglio, incrocio le gambe e rimango ad ascoltare la musica ogni tanto seguendone il ritmo con le mani, mi sembra più rilassante della finestra a volte. Rimango così per un'ora, non oso muovermi, in realtà non ne ho nemmeno molta voglia, sono quasi le 21.00, tra poco chiuderanno le luci per la notte, mi alzo e vado in bagno apro l'armadietto a specchio, prendo il dentifricio e lo spalmo sullo spazzolino elettrico, mi lavo i denti, la faccia, le orecchie, il collo, mi faccio il bidé, mi asciugo, mi volto verso la parete a muro che da verso la stanza della mia cella, batto le mani una volta si apre uno sportello che scompare attraverso il muro, prendo il cambio e il pigiama ripongo gli abiti negli ometti, mi vesto, batto di nuovo le mani una volta e lo sportello si richiude, prendo gli indumenti sporchi li porto nella cella, vado verso la porta a sinistra c'è una lavatrice a muro, apro lo sportello circolare infilo ciò che è da lavare e lo richiudo. Il computer della lavatrice dice:
- Non è ancora il pieno carico, siete pregati di aspettare prima di farla partire o potrebbero esserci problemi.
Linda mi aveva raccontato che una volta lei non aveva dato ascolto al computer, l'aveva fatta partire lo stesso, a metà carico la lavatrice ha cominciato a dare piccoli colpi che divennero sempre più forti fino a scoppiare e a fulminare tutta la stanza, sono intervenuti di corsa gli elettricisti, lei non aveva il coraggio di dire nulla, era proprio in imbarazzo, però mi ha detto che è stato divertente sentire la voce del computer che è sempre stata calma e flemmatica impazzire e andare sempre più veloce e diventare un tono stridulo.
Sorrido mentre ci ripenso, le luci si spengono, mi metto sotto le coperte e chiudo gli occhi non ho voglia di spegnere la musica, rimango un po' così tranquilla, poi nolente do il comando di chiusura della musica mi volto sul fianco sinistro e mi addormento.
Mi risveglio a mattina inoltrata, la notte è passata tranquilla, rimango qualche minuto distesa, mi stiro, poi mi alzo, un brivido di freddo mi percorre tutta, sbadigliando mi dirigo verso il bagno, mi lavo e mi cambio, poi raggiungo la stanza, mi metto di nuovo alla finestra ed osservo l'albero che sta perdendo tutte le foglie denudandosi di tutto, anche dell'anima. Non vedo nessuno, è una strada isolata e passano poche persone da quelle parti. Il cielo è nuvoloso ma non piove, le strade sono asciutte, non ho più quella sensazione di paura che mi affliggeva prima, mi sento tranquilla, in un certo qual modo, ho comunque un nodo allo stomaco che non riesco a capire, non so se il perchè non riesco a recepire nulla, sarà solo la melanconia che prende il sopravvento sul mio cuore, quel piccolo cuore che non riesce a decollare, quel piccolo cuore che non riesce ad amare più. Oggi mi sento così sola, mi manca mia madre, penso a lei, non ricordo più nemmeno che giorno sia, non ricordo più nulla, ho solo voglia di piangere, ho solo voglia di tornare a casa; mi copro gli occhi con le mani, rimango così per un po', ma non riesco a piangere, sono ferma su un punto bianco che immagino ci sia in mezzo a tutto quel nero, quel buio infinito.
Qualche minuto dopo, riapro gli occhi ed alzo lo sguardo fuori dalla finestra, mi sento leggermente meglio, più tranquilla, sarà anche una stupidata ma a me cercare concentrazione in qualcosa mi fa sentire meglio, sono strana lo so, eppure è una particolarità che a me piace e a cui non riesco a rinunciare. Un po' annoiata guardo l'orologio, sono già le 10.30 tra poco verrà la guardia a prelevarmi per portarmi alla sala ricreazione, mi preparo, mi ripettino, guardandomi allo specchio, non voglio dare la sensazione di essere un po' sbattuta, mi siedo al tavolo ed aspetto tranquillamente, sento i suoi passi arrivare, allungo le gambe sotto il tavolo incrociandole, non ho voglia di uscire, ma meglio cambiare aria per qualche ora, altrimenti finisco per diventare matta, qui non c'è nulla da fare. Sento di nuovo la chiave nella toppa, stancamente mi alzo, raggiungo il secondino, lo supero e tutto si ripete come il giorno prima, come quello precedente e come tutti i giorni a venire.