La produttività aziendale e sociale per molti ha un unico aspetto: ed è quello di produrre il più possibile ed in qualunque condizione per avere un utile, un qualunque utile e guadagno. Ma la produttività è veramente questa?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare dei passi indietro nella storia e riprendere il termine produttività da dove ha cominciato ad esistere realmente.
I primi a parlare di produttività furono Lysis e Lanzillo. Tutti e tre ne parlarono in riferimento al socialismo dell’epoca, durante e nel periodo successivo alla fine della prima guerra mondiale.
Per Lanzillo (si veda il suo libro “Voce”) i produttori non sono solo i borghesi e l’alta borghesia, perché hanno la possibilità economica di dare lavoro, quindi per lui cambia il soggetto il produttore non è più solo l’imprenditore tutti coloro che sono coinvolti nel processo produttivo dei beni, l’operaio e l’ingegnere che fanno parte della stessa azienda sono entrambi produttivi nello stesso modo. Nasce così la visione aziendale della famiglia, del “io imprenditore non posso andare oltre senza di te operaio e tutto fa parte del circolo produttivo interno per cui siamo tutti legati allo stesso destino”.
Lysis nel libro “Vers la democratie nouvelle” diceva che l’interesse del socialismo era lo sviluppo del capitalismo, poiché si identifica con il progresso industriale e commerciale ed è questo che interessa maggiormente al proletariato, perché se l’economia è stabile e le aziende sono floride l’operaio (il dipendente ad oggi) ha un posto sicuro e uno stipendio su cui far affidamento sempre. Secondo Lysis lo sviluppo economico avrebbe reso più forti i sindacati e la stessa classe operaia.
Fu, poi, che il termine cambiò utilizzo. Mussolini scrisse un primo articolo e ne seguirono altri sempre più selettivi ed arrabbiati nel suo giornale “Il popolo d’Italia” a fine settembre 1918. Ne tradusse prima degli stralci e poi ne modificò il senso, così la produttività divenne altro.
La produttività secondo Mussolini non era limitata da coloro che danno lavoro, partendo quindi da Lanzillo, modificò il tutto e riassunse così la produttività: la produttività è data da coloro che producono per l’azienda o lo stato indipendentemente dal fatto che siano dirigenti o contadini; sono un produttore se produco un bene o un servizio. Successivamente Mussolini lo applicò all’economia statale dichiarando che la produttività riguardava chiunque producesse un reddito per lo stato, più si produceva più si era produttivi, più il PIL cresceva nacquero così le basi dell’economia fascista. Non si fermò qui, però, la modifica della produttività; si cominciò a vedere la produttività come ad unicità totale, dove lo stato era un grosso inglobatore di tutti e non vi era più un unicità individuale e personale, lo stato prima di tutto. Lasciando che le persone si sentissero parti di un unico uno il fascismo le invogliava a produrre sempre di più e a dare sempre di più, qualunque cosa gli si chiedesse i cittadini davano e rinunciavano. Rinunciarono anche ai loro diritti per quell’uno, per quell’utopia dell’essere parte di un unica inglobante società.
La produzione doveva essere sempre attiva e non fermarsi mai, via quindi tutti i diritti dei lavoratori (quei diritti per cui lo stesso Mussolini si era battuto solo qualche hanno prima), cambiò radicalmente idea e iniziò l’era di quella che sarà la rovina dell’economia italiana nel ventennio fascista.
Quindi quel tipo di produttività che oggi va di moda in tutte le aziende del mondo, ossia devi produrre sempre di più e a tutti i costi, devi portare tot contratti ogni ora, devi inviare tot pacchi ogni minuto, eccetera eccetera; ecco, questo tipo di produttività fa parte dell’economia fascista, un’economia che toglie i diritti per metterli al servizio della produzione e dell’uno aziendale.
Questo tipo di produttività è deleterio per tutto il sistema economico, perché nemmeno una macchina può produrre all’infinito senza fermarsi con lo stesso ritmo; ciò si chiama usura e quando una macchina si usura perde di potenza e di produttività, molti diranno allora la si sostituisce. La sostituzione non è propriamente così economica per le aziende, una macchina si sostituisce solo quando è esausta (ossia quando è tecnologicamente obsoleta o inutilizzabile del tutto) altrimenti si manda in manutenzione, sostituirla appena perde di un po’ di potenza sarebbe uno spreco che si pagherebbe a bilancio.
Un dipendente diventa “obsoleto” quando va in pensione, ciò che lo rende produttivo non è la quantità di ore lavorative presso un’azienda ma la sua esperienza, più esperienza ha più ha valore e più è produttivo, inoltre la sua produttività dipende direttamente dalla qualità del suo lavoro se non è qualitativo non è produttivo e ciò non dipende sempre dal dipendente.
Per calcolare correttamente la produttività aziendale è necessario sommare vari fattori. Si deve sommare l’esperienza lavorativa media dei dipendenti con la produzione media mensile delle macchine (la fatturazione mensile media per i servizi) e dividerla per il totale dei dipendenti, questo darà un indice di produttività. All’indice di produttività va aggiunto l’indice qualitativo della merce o dei servizi e questo darà l’indice di produttività totale. Più l’indice di produttività è vicino allo zero e più la produttività è in sofferenza.
Vi è, comunque, un unico caso in cui non è assolutamente possibile dare un indice di produttività ed è l’artigianato, esso ha regole differenti per la produzione che è particolare e ad un alta qualità non si può dare una tempistica come in un’azienda quindi ci vuole molto tempo.
Rashna